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Il dolore come esperienza di significato

Il modello biopsicosociale postula che la salute e la malattia siano influenzate da fattori biologici, psicologici (gli aspetti che caratterizzano l’individuo come creatore di significati, le sue emozioni e le azioni che mette in atto) e socio-culturali.


In questo senso, fattori come lo stress possono influire sulla salute direttamente, attraverso le risposte neuro-endocrine e del sistema nervoso autonomo (per esempio, la pressione sanguigna o i cambiamenti ormonali), ma anche indirettamente, condizionando i cosiddetti comportamenti di salute (stili di vita, esercizio fisico, dieta).

Una tematica su cui possiamo soffermarci per riflettere sull'importanza degli aspetti psicologici nell'esperienza di salute/malattia è il dolore.



CHE COS'E' IL DOLORE?


Per quanto sia complesso formulare una definizione precisa e comprensiva di dolore, possiamo orientarci con le indicazioni di J.J. Bonica (1979), fondatore della IASP (International Association for the Study of Pain):



[il dolore è] un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole che deriva da un danno, reale o potenziale, a un tessuto. È un’esperienza individuale e soggettiva, a cui convergono componenti puramente sensoriali (nocicezione) relative al trasferimento dello stimolo doloroso dalla periferia alle strutture centrali, e componenti esperienziali e affettive, che modulano in maniera importante quanto percepito.

Per diverso tempo, i ricercatori si sono focalizzati esclusivamente sulla dimensione anatomica e neurofisiologica del dolore e ne hanno considerato gli aspetti psicologici ed emotivi come una diretta conseguenza.


Invece, come leggiamo dalla definizione di Bonica, esso non può essere descritto come un fenomeno puramente ed esclusivamente sensoriale, bensì riunisce in sé anche aspetti percettivi ed esperienziali.


Il dolore rappresenta una complessa esperienza globale e multidimensionale, data dall'interazione di fattori fisiologici, cognitivi, emotivi, socio-culturali, contestuali e comportamentali, ma il cui significato viene costruito e definito nel e dal singolo individuo.


Il grado in cui si fa esperienza del dolore, infatti, dipende in larga parte dal modo in cui esso viene interpretato. Per esempio, tendiamo a percepirne l’impatto in misura minore o maggiore quando facciamo appello agli elementi del contesto, come accade durante una competizione sportiva in cui, nonostante l’ingente sforzo fisico, tendiamo a non accusare i sintomi del dolore.


A interrogarsi per primo sull'importanza del significato attribuito al dolore fu il fisico Howard Beecher (1959). Durante la Seconda Guerra Mondiale, occupandosi di soldati rimasti gravemente feriti durante i combattimenti, rilevò che il 49% di essi riportava una percezione del dolore di grado da “moderato” a “grave”, ma che soltanto il 25% di questi faceva richiesta di morfina per contrastarlo.


Alcuni anni dopo, occupandosi di persone sottoposte a interventi chirurgici, vide che ben l’80% dei pazienti riportava una percezione del dolore di grado da “moderato” a “grave” e richiedeva un pronto intervento medico per farvi fronte.


Per spiegare la discrepanza osservata, Beecher concluse che le differenze tra i soldati e i pazienti di chirurgia consistesse nel significato attribuito alle ferite e al dolore: per i soldati, esse rappresentavano la fine della guerra e l’inizio di una nuova vita lontana dai campi di combattimento; per i pazienti, invece, le ferite e il dolore rappresentavano l’inizio di una vita difficile e deleteria per la percezione della qualità della propria vita.


Sebbene pensiamo al dolore come a un qualcosa che si presenta all'occorrenza o in maniera insolita, in realtà ne sperimentiamo piccoli picchi quotidianamente. Questo dolore è critico per poter sopravvivere in quanto fornisce piccoli e lievi feedback riguardo al funzionamento del sistema corporeo, che vengono utilizzati per compiere piccoli aggiustamenti, anche inconsapevoli, come per esempio un cambio della postura, della posizione durante il sonno, l’accavallamento delle gambe da seduti, ecc.



CLASSIFICAZIONI E SIGNIFICATO DEL DOLORE


Il dolore può essere variamente classificato, a seconda che vengano presi in considerazione aspetti come sede e modalità di insorgenza, intensità, sviluppo temporale, possibile irradiazione e localizzazione (IASP, 1986).


Quando riveste un significato vitale, esso rappresenta il segnale d’allarme per una lesione tissutale e si manifesta per lo più nelle forme acute di malattia. Il dolore acuto deriva quindi da una lesione specifica e localizzata che produce il danno di un tessuto, pertanto tende a sparire non appena questo si ripara. Per citare degli esempi: dolore dovuto a interventi chirurgici, a traumi, patologie infettive.


Il dolore può diventare patologico quando tende a perdurare e ad auto-mantenersi, perdendo quindi il suo significato iniziale e diventando a sua volta fonte principale di sofferenza. In questo caso si parla di dolore cronico, che spesso accompagna malattie ad andamento cronico.


Alcune condizioni tipiche del dolore cronico:

  • Lombalgie, dolori delle spalle e del collo

  • Cefalee, emicrania

  • Osteoartrite

  • Artrite reumatoide

  • Dolore neoplastico (oncologico)

  • Dolore neuropatico (sensazione dolorosa e cronica derivata da deterioramento o malfunzionamento dei nervi del sistema nervoso periferico o delle strutture del sistema nervoso centrale)

  • Herpes zoster (fuoco di Sant'Antonio) e nevralgie post-erpetiche

  • Dolori da arto fantasma

È possibile parlare anche di dolore psicogeno, ossia manifestazioni di natura organica che presentano aspetti psicologici come causa scatenante o co-determinante. Alcuni esempi: dolore lombare, cefalee, dolori toracici, disturbi psicosomatici, ecc.


In generale, un approccio biopsicosociale alla comprensione del dolore enfatizza il ruolo della consulenza e dell’assistenza psicologica nell'intervento con il paziente (Gatchel et al., 2007).



QUALI IMPLICAZIONI E CONSEGUENZE EMOTIVE HA IL DOLORE PER LE PERSONE?


La letteratura riporta che, tra le manifestazioni emotive che possono emergere in coloro che soffrono di dolore cronico, ci possono essere rabbia, frustrazione, paura, depressione, ansia ma anche alessitimia (incapacità di esprimere le proprie emozioni).


In che modo, quella persona, costruisce la narrazione del proprio dolore? Qual è la storia di quel dolore? Che ruolo ha per l’identità dell’individuo?


Come anticipato, l’interpretazione e l’attribuzione di significato possono influenzare l’esperienza dolorosa: la persona costruisce una narrazione sul proprio vissuto di malattia e/o di dolore, cerca, individua e seleziona cause o fattori che influiscono sulla propria condizione, rintracciandole nelle esperienze del passato, nelle persone con cui interagisce o ha interagito, negli stili di vita, in alcune parti del corpo, ecc.


Non sempre questo processo avviene su un piano di consapevolezza, e spesso può comportare l’indirizzamento della propria attenzione su alcuni aspetti, salienti, della propria vita e sul proprio corpo. Questa attenzione selettiva può aumentare la percezione dell’intensità e della frequenza del dolore, nonché incidere sul malessere e la sofferenza della persona.


Per tutti questi aspetti coinvolti nell'esperienza del dolore, per la persona può essere importante lavorare per identificare delle modalità attraverso cui far fronte (coping) al dolore, per aumentarne il livello di sopportazione, potenziare le strategie per alleviarlo (per esempio, la distrazione, l’impegno in attività alternative, la ridefinizione del significato del dolore) e per migliorare la qualità della vita.


Gli interventi di riduzione dell’ansia possono aiutare a diminuire il senso di angoscia e contrastare l’interferenza del dolore nella vita quotidiana.


Dall'altro lato, un lavoro sul senso di autoefficacia relativo al controllo esercitato sul dolore e sul suo impatto sulla vita può incidere sul sistema immunitario e sulla capacità dell’individuo di agire e reagire proattivamente, ricercando anche il supporto sociale degli altri.


Altre tecniche possono essere il rilassamento muscolare, il lavoro sulla respirazione, l’immaginazione guidata, la mindfulness.



BIBLIOGRAFIA

  • Abraham, C., Conner, M., Jones, F., & O’Connor, D. (2016). Health psychology. Routledge.

  • Beecher, H. K. (1956). Relationship of significance of wound to pain experienced. Journal of the American Medical Association, 161(17), 1609-1613.

  • Bonica, J. J. (1979). The need of a taxonomy. Pain, 6(3), 247.

  • Gatchel, R. J., Peng, Y. B., Peters, M. L., Fuchs, P. N., & Turk, D. C. (2007). The biopsychosocial approach to chronic pain: scientific advances and future directions. Psychological bulletin, 133(4), 581.

  • International Association for the Study of Pain (1986). Subcommittee on Taxonomy. Classification of chronic pain. Descriptors of chronic pain syndromes and definition of pain terms. Pain, 3, 215-225.

  • Molinari, E., & Castelnuovo, G. (Eds.). (2010). Psicologia clinica del dolore. Springer Science & Business Media.

  • Taylor, S. E. (2015). Health psychology. McGraw-Hill Education.


SITOGRAFIA

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